STEFANO BECAGLI
Psicologo Clinico e dello Sport
Il significato psicologico del pianto
Come
Il
pianto
ha
diverse
espressioni,
possono
essere
lacrime
di
gioia,
di
sollievo
o
di
dolore.
In
passato
il
piangere
era
accostato
al
fatto
d’essere
persone deboli. Permettersi un
pianto liberatorio
non è sinonimo di debolezza o di vergogna.
Nel
corso
degli
anni
molte
ricerche
e
diversi
studi
hanno
dimostrato
il
valore
curativo
del
pianto.
Si
pensa
che
il
benessere
di
versare
qualche
lacrima
sia
fonte
d’equilibrio
per
il
nostro
organismo,
la
tensione
accumulata
dallo
stress
è
spinta
fuori
per
mezzo
della
produzione
di
una
sostanza,
in grado di alleviare i danni fisici come l’infarto producendo benefici alla sensibilità dell’epidermide e alla respirazione, che si chiama enkfalina.
Un’altra
ricerca
svolta
all’University
of
South
Florida
di
Tampa,
condotta
da
Jonathan
Rottenberg
conferma
l’importanza
del
pianto
emozionale
come
automatismo
indispensabile
per
restituire
tranquillità
alla
nostra
psiche.
Da
questa
ricerca
è
emersa
anche
la
differenza
tra
uomini
e
donne,
i
primi
piangono
mediamente
soltanto
sette
volte
in
un
anno,
mentre
le
seconde
quarantasette.
Tale
differenza
emerge
in
età
adulta,
poiché
come
retaggio
culturale
agli
uomini
è
insegnato
che
non
è
da
“machi”
piangere,
ovviamente
non
c’è
niente
di
più
sbagliato.
Rottenberg
sostiene
che:”La
capacità
di
piangere
fa
parte
dell’essere
umano,
il
pianto
ci
accompagna
durante
tutta
la
vita,
da
quando
siamo
bambini
ai
momenti
cruciali
dell’età
adulta come matrimoni, nascite, lutti”.
Sulla
base
dei
dati
emersi
dalle
ricerche
si
può
sostenere
che,
basterebbe
lasciarsi
un
po’
andare
e
sfogare
le
emozioni
forti
per
mezzo
di
lacrime
liberatorie per provare giovamento, perché piangere può fare anche bene e non è da deboli.
I benefici del pianto
Da
un
lato
gli
sfoghi
di
pianto
originano
sensazioni
di
calma
come
la
respirazione
più
lenta,
dall’altro
producono
eccitazione
e
stress
spiacevole
come
l’innalzamento
del
battito
cardiaco
e
della
sudorazione.
La
sensazione
di
calma
ha
una
durata
più
lunga
rispetto
all’eccitazione
sgradevole.
Oltre
a
ciò
gli
esiti
calmanti
si
presentano
in
seguito
allo
stress,
il
che
farebbe
capire
perché
gli
individui
sono
più
propensi
a
ricordare
in
particolar
modo
il
verso
piacevole
del
pianto.
Al
momento
non
è
ancora
disponibile
un
numero
preciso
di
ricerche
che
definiscano
i
benefici
del
pianto
giacché
tali
manifestazioni
sono
influenzate
da
diversi
elementi
come
il
perché
si
piange,
come
e
dove
avviene
e
chi,
vale
a
dire
qual
è
lo
stato
di
salute di chi piange.
Il pianto dello sportivo
Durante
il
Mondiale
di
calcio
del
,
il
tema
del
pianto
nello
sport
è
tornato
alla
ribalta
e
sotto
la
lente
di
ingrandimento
di
tecnici,
critici
e
tifosi.
La
Nazionale
di
calcio
del
Brasile
è
stata
oggetto
di
attacchi
poiché,
diversi
calciatori,
hanno
esternato
con
il
pianto
le
loro
gioie,
tensioni
e
pressioni
esterne.
Quindi
perché
piangono
gli
sportivi?
Piangono
per
gioia,
per
aver
raggiunto
un
traguardo
cercato
da
molto
tempo
forse
da
anni
contraddistinti
da
intensi
allenamenti
e
rinunce
importanti.
Il
tennista
italiano
Fabio
Fognini
al
termine
di
un
match
molto
intenso
sulla
terra
rossa
di
Roland
Garros
disse
:”Negli
spogliatoi
piangevo
un
po’
per
la
gioia
un
po’
per
il
dolore”.
Questa
parole
fanno
emergere
un
mix
che
possono
avere
i
motivi
e
gli
esiti
del
pianto;
in
questo
caso
una
bella
vittoria
e
i
dolori
dovuti
a
dei
crampi
durante
l’incontro.
Piangono
per
dispiacere,
per
essere
andati
incontro
ad
una
sconfitta.
La
storia
del
calcio
è
composta
di
molti
frammenti
caratterizzati
dalle
lacrime
di
tanti
campioni,
si
pensi
a
quelle
di
Franco
Baresi
e
Roberto
Baggio
dopo
i
rigori
sbagliati
nella
finale
di
Coppa
del
Mondo
del
1994,
alle
lacrime
di
Ronaldo
il
5
maggio
2002
quando
insieme
al
suo
club
perse un campionato “praticamente vinto”.
Si
ricorre
al
pianto
perché
ci
si
trova
davanti
a
dei
blocchi
nel
percorso
sportivo
dopo
che
si
è
provata
la
gloria,
l’emozione
da
campione
però
a
lungo
andare
non
si
riesce
più
a
restare
al
top
null’altro,
non
si
sa
cosa
fare
e
si
prova
disperazione
e
solitudine.
Ma
tornati
in
campo
conseguendo
una
vittoria, dopo un lungo stop, è facile trovare lacrime di gioia a fine partita quando la tensione si allenta.
Si
piange
per
il
male
che
fa
vivere
lo
sport,
perché
da
grandi
lo
sport
non
è
più
un
gioco
come
quando
si
è
bambini.
Si
può
perciò
soffrire
nel
continuare
a
svolgere
un’attività
sportiva
perché
si
deve
dimostrare
all’esterno
(media,
tifosi,
sponsor,
ecc.)
di
essere
imbattibili,
bravi,
forti
e
se
questo è fatto senza provare il piacere e la motivazione intrinseca dello sport è facile che si possa soffrire molto.
Si
piange
perché
in
alcune
occasioni
non
si
è
maturi,
non
si
preparati
ad
andare
incontro
ad
una
sconfitta,
alcune
volte
nello
sport
per
essere
i
migliori
occorre
aggressività,
grinta
e
può
accadere
che
gli
avversari
traggano
questo
a
loro
vantaggio
per
dare
un
calcio,
un
insulto,
un
contatto
al
limite del regolamento, per ostacolare il più forte.
Con
le
lacrime
c’è
la
“liberazione”
di
ciò
che
si
ha
dentro,
dopo
il
pianto
si
può
essere
maggiormente
lucidi
per
puntare
al
meglio
al
prossimo
obiettivo.
Anche
nel
caso
di
una
sconfitta,
nello
sport
o
nella
vita,
il
pianto
può
essere
un
buon
mezzo
per
sfogare
l’amarezza,
il
rimpianto,
la
delusione
e
non
deve
essere
scambiato
in
alcun
modo
come
segno
di
debolezza
o
che
possa
riguardare
solo
l’universo
femminile,
non
piangono
solo
i
bambini
o
le
donne, ma le persone.
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